Tina Modotti o della fotografia sovversiva
Pino Bertelli è il miglior fotografo che conosco: ma dirò meglio, il più completo e indipendente dalla Fotografia, la quale, per sua natura, struttura e storia, lascia poca libertà creativa a chi l’esercita. La Fotografia è la Fotografia. E la riscattano i Fotografi come Pino Bertelli, non solo fotografando e scrivendo, ma parlando e scrivendo di Fotografia…
Raccontare la realtà attraverso le immagini, dice Ando Gilardi, non significa solo fotografare ma anche parlare e scrivere di fotografia. Che peraltro porta già in sè il grafèin, lo scrivere. Scrivere per immagini o attraverso le parole implica sempre un atto di riconoscimento del mondo, di apertura e curiosità nello scoprire, giorno dopo giorno, quell’attimo preciso dell’esistenza che attende di essere reso eterno -in una immagine o in testo poco importa-, di stupore verso l’insignificante che grazie a un’immagine si riempie di significati differenti ed importanti.
Concetti che descrivono perfettamente la visione di Pino Bertelli, outsider della fotografia, dalle “consapevolezze complesse (e) passioni anche estreme” come lo descrive Carlo Arturo Quintavalle, utopista ostinato, infaticabile testimone di violenze, conflitti, miserie, di una umanità calpestata che custodisce gelosamente la propria dignità e la speranza. Pino Bertelli, anarchico, utopista e ribelle. Come altre due grandi fotografe, Diane Arbus e Tina Modotti, delle quali, non a caso, Bertelli si è occupato più volte in saggi luminosi e irriverenti, mai banali. L’ultimo dei quali, appena uscito in libreria, ripropone in versione aggiornata e integrata, un testo di 8 anni fà, Tina Modotti. Sulla fotografia sovversiva. Dalla poetica della rivolta all’etica dell’utopia, che ripercorre la parabola esistenziale, politica e artistica di una delle esponenti di punta della fotografia del ‘900, Tina Modotti.
Bertelli l’outsider incontra lo sguardo di un’altra outsider, una donna libera e fuori dal coro, dimenticata per decenni dagli storici, personaggio scomodo e ingombrante per tanti. Tina -come Bertelli- usa la macchina fotografica come terzo occhio per esplorare il mondo, osservare la realtà nei suoi frammenti e nei suoi anfratti, entra nelle case degli operai accompagnandoli nella loro quotidianità, nei cortei, al lavoro, ritraendoli avvolti nelle bandiere comuniste o con i simboli dell’Internazionale.
C’è una foto che ritrae Tina e Frida Kahlo. Belle, carismatiche, libere, spregiudicate, inquiete, lo sguardo fermo verso l’obiettivo, di chi non tentenna di fronte alla vita ed ha denti forti per prenderla a morsi. Due icone. Gli occhi di Tina, spiccano da manifesti e foto a ogni angolo del mondo, enigmatici e sognanti, malinconici e sperduti, come il corpo scultoreo, nei ritratti di Edward Weston, il primo marito. Immagini di un uomo innamorato, esattamente speculari a quelle che lei scattò a Julio Antonio Mella, il rivoluzionario cubano del quale si innamorò qualche anno dopo.
Tina e le sue passioni, la fotografia e la politica. Eppure la seconda prenderà il sopravvento e la ‘fotografa combattente’ a un certo punto abbandonerà la sua reflex per dedicarsi completamente all’attività politica: dal Messico approda a Mosca, poi la guerra civile in Spagna dove combatte insieme a Vittorio Vidali, il suo ultimo compagno, il rientro precipitoso in Messico, la morte che assume i contorni di un giallo.
Nel 2016 i 120 anni dalla sua nascita sono stati celebrati ovunque, a partire dalla sua terra d’origine, il Friuli, con mostre, libri, documentari, contribuendo a consolidare il mito della rivoluzionaria, femme fatale. Sullo sfondo resta invece la Tina fotografa militante, che lei stessa ha voluto mettere nero su bianco in un testo che può essere considerato una sorta di manifesto, Sulla fotografia. E’ questa la prospettiva che Bertelli ci ha voluto restituire integralmente nel suo omaggio irriverente ed eretico, ma soprattutto amoroso, a Tina.