Raffaele Montepaone, scatti di una Calabria arcaica e resiliente
Mani che sgranano i grani di un rosario. Mani riposte in grembo, in una posa arcaica che appartiene solo alle donne del Sud, impronta corporea, segnale di quiete, di paziente attesa e rassegnazione atavica. “Comu vo’ Diu!” sussurrano sommesse le labbra e le mani insieme. Mani solcate da fitti reticoli di vene, scurite dal sole e dall’acqua, devastate dall’artrite, nodose come rami di un albero. Mani racchiuse l’una sull’altra come una pietra, spigolosa e compatta. Mani che coprono il viso, chiuso all’esterno nel raccoglimento della preghiera o nella voragine del dolore.
All’inizio furono le mani e il volto di Concetta, poi arrivarono quelle di Maria, Caterina e di altre donne calabresi che il fotografo Raffaele Montepaone ha scelto come oggetto-soggetto dei suoi scatti. Non sono bozzetti pittoreschi o immagini promozionali ma volti e corpi reali, autentici, di chi non ha paura di esporsi ed esporre allo sguardo altrui i solchi profondi provocati da fatiche e dolori.
Sono gli ultimi testimoni di un mondo contadino, duro e severo come le pietre delle case o il profilo delle montagne calabresi, che coltiva grande dignità e consapevolezze. Un mondo in cui il tempo è ancora scandito dalla campana della chiesa e dai ritmi della natura. Anche di questo il turbocapitalismo si è appropriato per farne un business, per alcuni è la normale quotidianità.
Alla quale guarda questo giovane fotografo in una sorta di Gran Tour dell’anima, che al luogo comune predilige l’attenzione, l’ascolto dell’Altro, lo sguardo che penetra in territori inaccessibili seppure a tutti comuni. Il bianco e nero scolpisce come fosse uno scalpello i volti e i corpi devastati dal tempo, le onde dei capelli disciplinate dalle forcine o da un rigido chignon, gli sguardi a volte duri e disincantati, a volte teneri e sorridenti, da cui traspare una saggezza naturale delle cose che non ha bisogno di concettualizzazioni o proclami. Sacche di resilienza, e resistenza, alla società ‘liquida’ che impone a tutti in modo trasversale i suoi modelli.
Classe 1980, la macchina fotografica sempre in mano sin da bambino, Raffaele comincia a muovere i primi passi nello studio paterno, a Vibo Valentia, e da lì il passo è breve per coltivare progetti propri, che gli valgono nel 2014 l’Affordable Art fair e i FIOF 2014, la Menzione d’onore ai Fiof 2015, il Premio speciale Talent Prize 2015 e un libro (Life) con la prefazione di Ferdinando Scianna. In questi giorni si è aggiudicato il premio Mia RaM Sarteano –Mia Photo Fair edizione 2017, insieme all’ americano Marshall Vernet, che si rivolge alla fotografia d’arte collegata ai territori, ed è protagonista della mostra allestita alla Rocca Manenti a Sarteano, Siena, aperta sino al 20 settembre.
(Le foto sono tratte da Life di Raffaele Montepaone)