Punto d’ombra, lo sguardo sul mondo di Teju Cole
“Una strada non è solo la superficie asfaltata, i palazzi ai lati, le macchine veloci o lente, la gente intorno a te. È anche il modo in cui tutte quelle cose sono in relazione, come si compongono e ricompongono.
Appena alcuni elementi si allontanano dal campo visivo, altri diventano visibili: tu ti muovi, le macchine si muovono, altre persone si muovono, persino il sole si sta muovendo lentamente, e in mezzo a tutto questo movimento multidimensionale devi decidere quando premere l’otturatore, decidere quale di questi istanti mutevoli è più interessante degli altri. Un secondo prima, non è ancora successo. Un secondo dopo, se ne è andato per sempre, irrecuperabile.”
Essere immersi nel fiume calmo e incessante dell’esistenza. L’epifania di un gesto, di un colore, di un raggio di sole che sbuca tra le nuvole, il movimento perfetto degli ingranaggi di un orologio che scandisce il tempo. Momenti della nostra vita che ci sfuggono di mano, tormentati come siamo da una quotidianità in cui tutto scorre alla velocità della luce, senza darci il tempo di fermarci, riflettere, osservare, ascoltare, prestare attenzione ai battiti del cuore o a quell’immagine riposta in un vano della memoria, che attendeva il momento buono per uscire fuori. Un comodino, un albero, una vetrina in cui si riflette luminosa la facciata di un palazzo, dei quaderni aperti sul selciato. Sprazzi di quotidianità colti dalla macchina fotografica, che corrispondono a una storia, a un ricordo, a una sensazione fissati sulla pagina da Teju Cole.
Lo scrittore, nato negli Stati Uniti da famiglia nigeriana, critico fotografico per The New York Times magazine, vincitore di premi prestigiosi per i suoi libri, Città aperta e Ogni giorno è per il ladro, ha raccolto giorno dopo giorno su Instagram questi momenti d’essere, racchiusi ora in un libro, che è diventato anche una mostra, Punto d’ombra (Contrasto), fino a giugno a Milano, a Forma Meravigli.
Una riflessione attenta su quello che è per noi lo sguardo, mezzo con cui ci rapportiamo al mondo, misura del nostro essere nel e per il mondo, che Cole percorre da anni in lungo e in largo. Il testo non è semplice didascalia ma segue l’immagine per esplicitarne o rafforzarne il senso, offrendo ulteriori codici di decifrazione, tessere del mosaico voluto dall’autore che scandiscono il ritmo della lettura. Un progetto non inedito, che ripercorre terreni già dissodati da altri, da John Berger a Gabriele Basilico e W.A. Sebald, tuttavia ancora capace di riservare inattese sorprese.
Lui lo definisce un poema, una raccolta di 70 frammenti poetici intessuti di scrittura e visione, nei quali Cole lavora intorno al buio, al vuoto, apparentemente privo di cose, eppure estremamente denso di echi e forme. L’alternanza luci/ombre non solo come canone estetico ma soprattutto come modo di guardare la realtà da diverse prospettive, e di coglierne magari una nuova dimensione.
Ma Blind spot, come recita il titolo originale del progetto, è anche e soprattutto il punto cieco, ossia il punto nel quale il fascio ottico attraversa la retina escludendo dal nostro campo visivo ciò che vi cade, costringendo il cervello a completare l’immagine. Siamo abituati a pensare che “la realtà esista e basta. Lei sta lì e noi la guardiamo” e invece vedere è un’operazione estremamente complessa, perché