Prometeo, la polis e il senso della filosofia
Le ultime notizie non sono incoraggianti. La filosofia esce da alcuni percorsi universitari e si appresta a subire vigorosi tagli anche nei licei. Intellettuali e filosofi insorgono, firmano manifesti e parlano di “attacco generalizzato al sapere umanistico in Italia” (Roberto Esposito dalle pagine di Repubblica) C’è da chiedersi a questo punto se la filosofia nel nostro mondo liquido e senza certezze abbia ancora un senso. E se è vero, come afferma Vattimo nel citare Husserl, che studiare filosofia è come fare di professione l’essere umano, non dovremmo avere dubbi.
A non averne di certo è Massimo Cacciari che sul punto è perentorio: la filosofia serve a pensare. Secco, conciso, ma c’è tutto. Come nella bella lectio tenuta dal filosofo a chiusura di Gutenberg Calabria, progetto esemplare che invita i giovani, dalle scuole elementari sino alle superiori a riflettere e confrontarsi direttamente con intellettuali, storici, scrittori scienziati e filosofi sui grandi temi del nostro tempo.
Cacciari ha scelto come tema Prometeo. Perché il mito, nella versione eschilea, ancora una volta, può aiutarci a leggere la realtà e, attraverso la storia dei due Titani, Prometeo e Epimeteo, accompagnarci per mano all’interno del dramma insito nella natura umana. Prometeo è una figura di passaggio, tra il vecchio mondo –quello preolimpico- e quello, nuovo, rappresentato dalle divinità olimpiche, sulle quali impera Zeus, che il Titano aiuterà nel compito di detronizzare il padre e conquistare il potere. Potere assoluto, che non tollera chi non si sottopone al suo giogo, come Prometeo, colui che lo ha sostenuto nella lotta contro Crono ma che lo ha anche sfidato, portando agli uomini il fuoco. Prometeo il lungimirante, colui che è capace di leggere il presente e di pre-vedere il futuro. Come può il potere stabilirsi e consolidarsi se il passato continua a condizionarlo? Così Zeus incatena Prometeo nel tentativo di cancellare il passato, il proprio inizio e la propria fine, e di pensarsi senza nascita e senza morte, in una perfetta eternità.
La tragedia tuttavia non si limita a esprimere la violenta contrapposizione tra i due mondi ma indica anche la strada di una possibile riconciliazione nel Prometeo liberato, ultimo atto della trilogia eschilea. Se infatti, come sottolinea anche Platone nei Dialoghi, gli uomini, lasciati dall’ingenuo Epimeteo in balia delle forze della natura, vengono salvati da Prometeo, che dona loro l’intelligenza e la capacità di fare, la téchne, quest’ultima, per quanto sorretta dalla sophìa (il fare bene) non basta. Il dono del Titano, infatti ,resta fine a sé stesso e non sottrae la razza umana alla sofferenza e all’infelicità, cui è possibile sfuggire solo sottoponendosi alla Verità, assicurata all’interno della polis. Sarà Zeus a intervenire nuovamente, chiudendo il cerchio, per donare agli uomini le virtù del rispetto (eidòs) e della giustizia (dìke), senza le quali nessuna polis è possibile.
Le due coppie, téchne / sophìa, eidòs /dìke, devono quindi agire insieme perché l’uomo possa diventare membro della polis, radicato all’interno di un corpo politico armonico (politèia), fuori dal quale ognuno percorrerà la strada in perfetta solitudine, seguendo esclusivamente i propri desideri e interessi.
Il mito continua a parlarci a distanza di millenni, a evocare domande e sollecitare risposte, a farci riflettere sulle contraddizioni dell’esistenza, sulla miopia di un orizzonte di senso fondato esclusivamente sulla téchne, sulla fragilità dell’essere umano dinanzi al mistero più grande: quello della sua radice e del suo destino. Che tocca alla filosofia svelare.