Nabokov, la letteratura, la caccia alle farfalle e le cose trasparenti
Il dettaglio è sempre il benvenuto, scrive nella sua biografia, Parla, ricordo. E il dettaglio è il punto costante di approdo e di ripartenza, testardamente cercato, di volta in volta creato e ricreato in tutte le sue opere da Vladimir Nabokov. Potrebbe essere diversamente, del resto, per l’appassionato scacchista che trascorre ore intere a svelare le imponderabili leggi combinatorie degli scacchi? O per lo scrittore-entomologo che passa le sue notti chino sul microscopio a studiare farfalle, cercando di decifrare il mistero di quei corpi impalpabili e lievi?
Un mondo cristallino e silenzioso, quello del microscopio, in cui si può restare ingabbiati. Come nell’universo del linguaggio. In entrambi i casi sono i dettagli a contare, chiave di volta per poter frequentare tanto i territori della scienza che quelli letterari. Sono “queste combinazioni di dettagli a generare quella scintilla sensuale senza la quale ogni libro è morto”, scriverà. Letteratura e caccia alle farfalle, fonti di “magia, l’una e l’altra un intrico di incanti e inganni”, condividono dunque uno spazio comune, in cui si muovono lo scrittore e il poeta insieme allo scienziato, che è poi la nostra realtà,
E’ una realtà che continuamente ci sfugge tra le dita, nei suoi volti molteplici e impalpabili, in un continuo gioco di specchi. E’ quel che accade ad Hug Person (nomen omen: person in inglese rimanda all’essere umano ma in latino alla maschera dell’attore, al personaggio interpretato), protagonista di Cose trasparenti, uno dei romanzi più belli dell’autore di Lolita, Pnin, L’incantatore. Goffo e allampanato, le mani enormi, occhi tristi, imbranato, perseguitato da sempre da incubi notturni, dal sonnambulismo e dall’immagine della giovane moglie (una donna “dall’anima arida, essenzialmente infelice”, totalmente impermeabile alle attenzioni del marito) che uccide in un raptus notturno, Hug, uscito di prigione, torna indietro e percorre i sentieri della memoria nell’intento, forse impossibile, di riannodare i capi di una matassa indistricabile.
Ma tentare di scalfire la “sottile impiallacciatura di realtà immediata che ricopre la materia” cercando di vedere nella scatola trasparente che racchiude la nostra esistenza può essere pericoloso, perché il rischio è di sprofondare negli abissi profondi, senza possibilità di tornare a galla. La realtà è sogno, direbbe Calderon de la Barca. E se questa consapevolezza fosse a sua volta un sogno?
Torna il Nabokov appassionato di farfalle, di leggerezza ed effimero, a ricordarci l’illusorietà di qualsiasi tentativo di condurre la nostra vita lungo i binari della ragione comune nella vana ricerca di un senso intimo delle cose. La vita è gioco, come la letteratura, sembra dirci tra le righe di questo gioiello in cui a trionfare, come al solito quando si parla di questo genio cosmopolita abituato a navigare tra culture e lingue diverse, perennemente preda delle lunghe ingombranti ombre della lingua e della cultura russa, aduso a spargere citazioni e sarcasmo, a mescolare alto e basso, kitsch e sublime con intatta leggerezza, è la parola. Chi lo dimentica, è destinato a perire, come Hug Person, tra le fiamme.