Libri da leggere (almeno una volta nella vita): La versione di Barney di Mordecai Richler
Tutta colpa di Terry. È lui il mio sassolino nella scarpa. E se proprio devo essere sincero, è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata. Fra l’altro mettendomi a scribacchiare un libro alla mia veneranda età violo un giuramento solenne, ma non posso non farlo. Non posso lasciare senza risposta le volgari insinuazioni che nella sua imminente autobiografia Terry McIver avanza su di me, le mie tre mogli (o come dice lui la troika di Barney Panofsky), la natura della mia amicizia con Boogie e, ovviamente, lo scandalo che mi porterò fin nella tomba.
Mi chiamo Barney, Barney Panofsky. Ho 68 anni, tre mogli, tre figli, una invidiabile posizione economica che arriva dalla mia società, con cui produco da anni tv spazzatura, la pancia di chi inizia la giornata –e la conclude- con il bicchiere di whisky e un buon Montecristo in mano. Sono un tipo squallido, competitivo e rancoroso, antipatico e senza peli sulla lingua. Un bastardo, insomma. Con i suoi principi: niente armi, né droga e cibi dietetici. I miei punti dolenti: le donne e l’alcool. E un chiodo fisso: Miriam, la mia terza moglie e l’unica donna che abbia veramente amato nella mia vita.
Dolce, bellissima Miriam, avvolta in una impalpabile nuvola azzurra, come il colore dei suoi occhi e del vestito che indossava la prima volta che l’ho visto, al mio matrimonio con la Seconda Signora Panofsky. Non so se siano stati gli occhi o il vestito, ma ho lasciato sposa e invitati e l’ho seguita sul treno per Toronto, le ho chiesto di partire insieme per l’Europa, ma niente da fare, e a me non è restato che tornarmene dalla sposa.
E poiché tutto si può dire di me –che sono un ubriacone, un attaccabrighe, un bulimico della vita- ma non che mi tiri indietro docilmente di fronte ad un no, ho continuato a corteggiarla per un anno mentre il mio matrimonio naufragava miseramente. Naturalmente non era colpa della Seconda Signora Panofsky, ma dello stronzo –io- che l’aveva portato all’altare. Io non sopportavo il suo chiacchiericcio senza requie, lei non tollerava la mia rudezza e il mio umorismo yiddish che spesso sconfina nella cattiveria. Povera ragazza, avrebbe meritato di meglio.
Come Clara, la Prima Signora Panofsky. Dolce, provocatoria, dissacrante, folle Clara. Come era Parigi in quegli anni, tra artisti dalla pancia vuota e giovani scrittori arrapati. Ci siamo fatti del male in tutti i modi, ma il tuo capolavoro è stato tagliarti le vene… Sapevi che così non mi avresti perso mai più, vero?
A me non è rimasto altro che recitare ogni giorno il mea culpa, mea maxima culpa. Così come il mio mantra quotidiano (come si chiamano i sette nani? con cosa si prende la minestra?) cercando di riannodare i fili del mio passato, di ricucire i buchi neri della memoria, ora che mi sta abbandonando. E dài Barney, dai che lo sai. Certo che lo so. Certo che so che fine ha fatto Boogie quel giorno sul lago… E’ stato lui a farmi conoscere Goncarov e Celine. E’ stato lui a tirarmi l’ultimo tiro mancino.
E’ per te, Boogie, per Clara, per Miriam, per i miei figli che ho iniziato a scrivere questo libro. Per Terry ovviamente e quel suo orribile libro. E per quell’altro, quel tipo che ha voluto scrivere un romanzo a imperitura memoria. Uno che usava le parole senza mezzi termini, che non conosceva mediazioni, che rideva di tutto e tutti, compreso sé stesso e la sua gente. Uno che aveva capito bene che la vita è una enorme assurdità. Come si chiamava? Mordecai Richler, mi pare…
(Mordechai Richler, La Versione di Barney, Adelphi, 2014)