L’eredità dell’abate Gioacchino

C’è stato un tempo in cui la punta dello stivale offrì un approdo ad Ulisse nel suo viaggio di ritorno ad Itaca, ospitò la scuola filosofica e matematica di Pitagora, dava i natali al primo legislatore della storia, Zaleuco, e al poeta “infiammato d’amore”, Ibico.

C’è stato un tempo in cui le coste meridionali venivano battute dalle incursioni saracene mentre, all’interno, imperversava la lotta tra i bizantini e i popoli venuti dal Nord e le genti di Calabria dovettero imparare la difficile arte dell’arroccamento e della difesa a oltranza, e quella, altrettanto impervia, della conservazione della memoria e del prezioso patrimonio culturale tramandato dai greci e dai romani, prima, dai bizantini poi.

C’era una volta un’altra Calabria possibile, altre visioni di civiltà e ingegno, sogni e progetti utopici che trovavano proprio nella nostra terra il loro terreno più fertile. Di chi in modi e con intenti diversi, ha saputo guardare al paesaggio con la forza trasfigurante di un’idea, di una visione, di una carica utopica che ha avuto nella storia momenti straordinariamente luminosi.

Ci fu un tempo, ormai lontano, in cui alcuni uomini seppero resistere a mutamenti epocali e alla barbarie dominante costruendo rifugi dello spirito, dove si coltivavano insieme la preghiera e la cultura, lo studio

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e la conservazione del patrimonio tramandatoci dalla civiltà classica. Monasteri e biblioteche insieme, scriptorium in cui si conservavano e trascrivevano centinaia di opere di ogni tipo, anche rarissime, non solo le Sacre Scritture ma pure Marziale, i trattati di Ippocrate e di Galeno, le mappe tolemaiche e le opere aristoteliche tradotte da Boezio. Uno sconfinato “deposito culturale” senza il quale il Rinascimento sarebbe impensabile.

La civiltà magno-greca si espande così nel tempo e nello spazio grazie al Vivarium di Cassiodoro e alle visioni di Tommaso Campanella e di Gioacchino da Fiore. Alla singolare figura di Gioacchino ha dedicato un piccolo ma densissimo saggio Massimo Iiritano in Gioacchino da Fiore. Attualità di un profeta sconfitto (Rubbettino) che tenta di ricomporre il complesso mosaico del monaco di Celico mettendo insieme le tessere (di quel po’ che si sa) della vita e delle sue opere per interrogarsi sull’attualità del pensiero gioachimita.

Un pensiero autenticamente innovatore,

“capace di rimettere in gioco quelle antiche e indomite radici spirituali di un popolo, quella vocazione eremitica e visionaria che il manto della latinizzazione cattolica tendeva ora a soffocare nelle torri eburnee della dottrina e del silenzio”.

Ma capace anche di ispirare con la sua potenza visionaria Dante e la Commedia, Ruggero Bacone e Jacopone da Todi, Guglielmo di Ockam e Savonarola, politici come Cola di Rienzo e Thomas Muntzer, l’arte medioevale e quella successiva, compresa la Cappella Sistina di Michelangelo.

Gioacchino è un vulcano di idee ed energia. Fonda abbazie e monasteri, studia, si confronta, struttura in modo organico il suo pensiero, scrive un’opera dopo l’altra. Le sue teorie viaggiano con la potenza delle sue visioni e la forza delle sue gambe, che lo portano da Sud a Nord, fino a Pariggioacchino da fiore Liber figurarum 2i, alla Sorbona nelle corti reali, davanti a Papi e potenti, che gli concedono stima, benedizioni, terre, viatici per proseguire sul cammino tracciato.

Una figura sicuramente extra ordinem, la sua, monaco errante in grado di tessere una rete solidissima di rapporti, figura ben lontana da quella del religioso chiuso nell’ eremo, assorto nelle proprie meditazioni.

Nei suoi viaggi si muove come su una scacchiera, dalla quale trae ispirazione e su cui misura l’orizzonte delle sue utopie, in particolare la visione di quella età dello Spirito da cui rampolla il nuovo ordine dell’umanità, che prende forma attraverso una comunità religiosa aperta anche ai laici. Una visione millenaristica ed escatologica che si sposa subito con quella di Francesco d’Assisi per immettersi nel vortice dei movimenti religiosi ed ereticali che proliferano dal XIII secolo in avanti, contribuendo a costruire i pilastri della modernità.

Gioacchino e i suoi partono dall’esegesi dei Testi Sacri per proiettarne il significato sul fondale della gioacchino da fiore Liber figurarum 3_Cerchi_Trinitaristoria, alla ricerca di una verità che, scrive Iiritano, “viene e si fa storia. (…) verità che si fa epoca; e che deve venire per realizzare non solo le potenzialità non attuate del presente ma tutte le possibilità di verità che il passato recava e reca nascostamente in sè”.

La modernità di Gioacchino, tuttavia, va oltre e può cogliersi anche in quel pensare per immagini, condensato nel Liber figurarum, nel quale le immagini non si limitano a rappresentare un concetto quanto a esprimere attraverso il segno ciò che altrimenti non può essere pensato per concetti ed espresso attraverso la parola. Una immagine, dunque, utilizzata come strumento gioacchino da fiore Liber figurarum 4Albero-Trinitàche permette di sentire e vedere, “attraverso lo specchio opaco”, l’impensabile.

Il pensiero gioachimita ridefinisce il senso di concetti come Verità e Rivelazione ricollocandoli all’interno del flusso della storia così come quel pensiero del termine ultimo, quel pensare apocalitticamente che ha interrogato nel corso dei secoli filosofi, teologi, artisti e continua a interrogare con immutata forza il nostro oggi, dinanzi alle immagini di esodi, guerre, devastazioni. E a quella, devastante, del corpo di un bambino riverso su una spiaggia, annegato sulle coste di un paese diverso dal suo, nella ricerca di un futuro possibile.

(Le immagini sono tratte dal Liber figurarum, 1202)

 

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03. settembre 2015 by Anna Puleo
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