Le guerriere di Artemisia in mostra a Roma
Artemisia. Pronunci un nome e ti vengono in mente i colori luminosi –i blu intensi, i rossi fiammeggianti, il giallo abbagliante- che emergono dall’ombra, i volti assorti, come quello della madonna che allatta, lo sguardo irrequieto diretto al pubblico o rivolto a un altrove ignoto, quanto fermo e implacabile nel compiere la vendetta, come in Giuditta e Oloferne, la bocca piegata in una smorfia di dolore, come in Susanna e i vecchioni. Artemisia Gentileschi. Artemisia per tutti.
Artista senza pari, talento precoce, duttile e proteiforme, temperamento d’acciaio, icona del femminismo, emblema della capacità delle donne di creare giardini nel deserto, donna coltissima, consapevole della sua forza e della sua libertà, Artemisia si muove senza tentennamenti nel mondo dell’arte dell’epoca, rigorosamente declinato al maschile, re-interpreta in modo superbo la lezione di Orazio, suo padre, di Caravaggio e Carracci, con una chiara capacità di intercettare fermenti e novità del tempo per restituirla nelle sue opere con una cifra personalissima. I suoi autoritratti mostrano una donna forte e determinata, nel lavoro come nella vita: archiviato lo stupro subito giovanissima, si sposa, intreccia relazioni, conquista l’amicizia e la protezione dei grandi dell’epoca, Michelangelo, Galileo, Cosimo II De Medici, Carlo I Stuart.
Dal 30 novembre il Museo di Roma a Palazzo Braschi ospita una grande mostra, promossa e prodotta da Roma Capitale, e Arthemisia Group, organizzata con Zètema Progetto Cultura e il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che copre l’intero arco temporale della vicenda umana e artistica di Artemisia Gentileschi.
100 le opere esposte al pubblico, provenienti da prestigiose collezioni private e dai più importanti musei di mezzo mondo, che seguono Artemisia nel suo confronto serrato con i maestri del passato e i suoi contemporanei, nei diversi periodi passati a Roma (dove, al suo rientro, la sua pittura acquisisce spessore e maturità), Firenze (qui Artemisia è la prima donna ammessa all’Accademia del Disegno), e infine a Napoli e Venezia, su cui c’ è ancora da indagare, così come la breve intensa parentesi londinese.
L’esposizione, che rimane aperta sino al 7 maggio 2017, è curata da Nicola Spinosa, Francesca Baldassari e Judith Mann, e comprende autentici capolavori, divenuti nel tempo icone che appartengono ormai all’immaginario popolare, da Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, a Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, all’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, messi a confronto con la Giuditta di Cristofano Allori di Palazzo Pitti a Firenze o la Lucrezia di Simon Vouet del Národní galerie v Praze di Praga, con il Noli me tangere di Battistello Caracciolo, ancora con le opere dei romani Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione o del napoletano De Ribera.
Capolavori che trasudano potenza espressiva, capacità drammaturgica, una vena lirica e uno spessore intellettuale non comuni. Opere in cui storia individuale e storie collettive -di prevaricazione e riscatto-, vita e arte si intrecciano indissolubilmente –il pensiero va subito a Frida Kahlo-, esprimono passioni indomabili e violente, l’estasi dell’amore e quella della fede, la sublimazione della vendetta e il trionfo della volontà. Le donne ritratte non sono vittime, tuttavia, ma protagoniste della loro vita, guerriere dal corpo imponente e muscoloso e dal piglio sicuro, padrone dello spazio e del tempo, della propria vita e del loro agire, indisponibili ad arretrare anche quando a materializzarsi sono demoni ferocissimi.