Le città invisibili, un sogno nato dal cuore delle nostre città (invivibili)
Quarantaquattro anni fa vedeva la luce Le città invisibili, una delle opere più famose di Italo Calvino, ispiratrice infaticabile di intere generazioni nel tentativo di avvicinarle a ciò che siamo rispetto ai luoghi che abitiamo, ma anche di descrivere il processo non sempre lineare della scrittura.
Un libro è qualcosa con un principio e una fine… è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori.
Così scrive lo scrittore per rappresentare la vocazione di qualunque testo -romanzo,saggio, poesie, poco importa- nel condurre per mano il lettore al suo interno, delineando itinerari, intrecci e soluzioni.
Il libro come una mappa che ci guida da un approdo all’altro fino alla meta. Il libro come labirinto che nasconde nel suo ventre la soluzione che ci condurrà sino all’uscita. Il libro come rinvio continuo ad un altrove oggi surclassato da una visione unidimensionale dell’esistere, con le sue città continue e i suoi non-luoghi, dove ti pare di essere dappertutto nello stesso luogo, di cui ti sfugge tuttavia inevitabilmente il centro.
Un altrove qui incarnato dal grande Kan dei Tartari, Kublai, e dalla sua lucida disperata consapevolezza che il suo magnifico e sterminato impero in realtà “è uno sfacelo senza fine nè forma”. O da Marco Polo, il giovane veneziano che descrive all’imperatore le città che ha visitato, figlio di un mondo lontano da quello di Kublai eppure sorprendentemente vicino a quello dell’imperatore, entrambi custodi delle ombre silenziose di un giardino che si affaccia sul lago della mente. O dalle stesse città invisibili, un sogno che nasce dal cuore delle (nostre) città invivibili, raccontato da un viaggiatore visionario che ha trovato le ragioni invisibili di cui le città vivevano e per cui, forse, dopo morte, rivivranno.
Le storie di Marco e l’atlante di Kublai parlano di città che non esistono più, se non nei racconti degli uomini, di città che si aprono sul mare, città-fortezza, città che nascono dalla fusione di altre, città-ragnatela, città filiformi e città microscopiche che si espandono via via, città che si scambiano memorie e destini, città felici e città tristi, città non ancora fondate. Alla fine c’è lei la città infernale, verso la quale ci risucchia la corrente.
E se è vero che all’inferno ci si abitua, è anche vero che accuratamente celate tra le strade e i palazzi delle nostre città ci sono città nascoste e che una città infelice può contenerne una felice e che quelle future sono contenute nelle presenti “come insetti nella crisalide”. Perchè dietro la città che si vede ce ne è una che non si vede ed è quella che conta.

Da sabato 19 novembre fino alle 10 di domenica 20 novembre, Bookcity Milano propone LE VOCI DELLA CITTÀ – Una maratona lunga una notte, un progetto a cura di Daniele Abbado.
(Nelle immagini, sculture di Fausto Melotti)