La Fantarca ovvero quando i terroni salvarono la Terra
Il Triangolo è potenza…. Siamo intorno al 2160 e il Triangolo ha trovato il modo di risolvere la secolare questione meridionale: fare partire gli abitanti del Sud sulla Speranza n.5, ultimo esemplare di una serie di gloriose astronavi, destinazione Saturno.
Su questa quantomai improbabile e scassata astronave si imbarcano dall’astroporto di Vibo Valentia uomini e bestie che presto raggiungeranno la meta prestabilita. Al comando di questa Arca di Noè che somiglia più ad un frullatore che ad una astronave è don Ciccio Torchiaro, uomo burbero e determinato che, tra mille ostacoli, salverà i passeggeri della Speranza n.5 dalla guerra magnetica scatenata dai governi del Triangolo e del Quadrato, e, invece di fare rotta su Saturno, li riporterà incolumi su una Terra distrutta ma ancora in grado di accogliere i suoi abitanti.
Siamo nel 1965 e Giuseppe Berto ha appena dato alle stampe il suo capolavoro, Il male oscuro, quando ritorna in libreria con un testo lieve, inatteso e sorprendente, La Fantarca (Bur, ult. ed. 2014), romanzo che racconta con scintillante e amara ironia, leggerezza e prosa smagliante, tensioni e paure di un’epoca. Siamo in tempi di guerra fredda tra l’Occidente e l’Unione Sovietica, di Cortine di ferro e di corsa agli armamenti, da una parte e dall’altra, e la questione meridionale (Berto in quegli anni sceglie Capo Vaticano come suo buon ritiro) è ben lontana da una soluzione.
Un anno dopo Vittorio Cottafavi ne tira fuori un fortunato sceneggiato Tv con la sceneggiatura dello stesso Berto e le musiche di Roman Vlad, che dell’opera coglie proprio il carattere «attuale, modernissimo e antico, lieve e senza pretese».
Nello stesso anno Italo Calvino pubblica Le Cosmicomiche, altro testo che gioca con la scienza e la fantascienza, il che sembrerebbe confermare, scrive Giuseppe Lupo nella Prefazione a questa nuova edizione del romanzo di Berto, che gli scrittori italiani, quando si spingono sul terreno della scienza, prediligono il
Tra i rumorosi ingranaggi arrugginiti della Fantarca, razzo vecchiotto ma che tutto sommato farà il suo dovere, Berto conduce il lettore con tono lieve e il sorriso sempre sulle labbra su una Terra diventata invivibile, in cui un muro altissimo (metafora del Muro di Berlino) separa i due popoli tentando di preservarli dalla potenza letale delle loro armi, al fianco di don Ciccio, che guida l’equipaggio con pugno di ferro e ridendosela sotto i baffi, della ineffabile vedova Esterina, che ama segretamente don Ciccio, di Lopresti e Caroniti, rappresentanti dei blocchi contrapposti, il Triangolo e il Quadrato, e di tutti i poteri del passato, del presente e del futuro.
Raccontando tra quadri comici e grotteschi un’umanità di poveracci, contadini e paesani del Sud, che portano sull’astronave un pezzo della loro vita -animali compresi-, piccola isola in un mondo che li ha relegati ai margini, anzi li spedisce nel pianeta più inospitale della nostra galassia. Eppure saranno proprio questi miserabili a salvarsi, e a salvare la razza umana, sconfiggendo la stupidità e l’arroganza del potere che ha condotto la Terra al baratro.
Parabola esemplare di ciò che siamo, e di ciò che potremmo diventare, La Fantarca è un piccolo gioiello narrativo che trova il suo felice disvelamento nel finale, quando il cerchio si chiude non a caso nel mito. Quando un ragazzo prova ad alzarsi in volo, nel cielo, per tornare ad abitare lo spazio della libertà e dell’autenticità.
(Le foto sono tratte da Viaggio sulla luna, di Georges Méliès, il primo film di fantascienza della storia del cinema)