Gianluigi Colin, l’arte e l’archeologia del presente
Cos’è la realtà? Ci percepiamo al centro del reale, capaci di vedere oltre cortine e confini, di esplorare i mille volti delle cose, di penetrare nel nucleo duro dell’esistenza. Invece non riusciamo a vedere il nostro presente nella sua interezza, di ridurre ad unità la complessità e la frammentarietà delle cose, di guardare dietro la loro patina scintillante. E allora cerchiamo di avvicinarci a piccoli passi, cercando di cogliere frammenti e spezzoni del reale, fissando immagini, parole, segni a volte impalpabili.
All’artista spetta il compito di lavorare come “un archeologo che preleva e conserva segni, parole e immagini che altrimenti sparirebbero nell’oblio”, di svelare la macchina della narrazione e ciò che rimane dietro le quinte, l’assuefazione e la distrazione dello sguardo, che vaga sulla superficie delle cose, senza riuscire a coglierne il senso.
Gianluigi Colin, art director del Corriere della Sera, in questi giorni in mostra al MARCA di Catanzaro con No News, Good News, presenta una sorta di Atlante del contemporaneo, mitografia del presente che ha sostituito all’Olimpo la galassia dell’informazione, agli Zeus e ai Saturno le star del cinema o della Tv, della letteratura e della politica.
La funzione dell’arte è quella di offrire senso all’esistente, codici di decifrazione, mappe e portolani che fanno da guida al viaggiatore che vaga senza bussola né coordinate nell’enorme flusso di immagini, notizie, parole in cui siamo immersi. Un senso che può emergere dalla stratificazione delle immagini che appartengono a luoghi e tempi diversi: i corpi straziati, torturati di Goya e quelli dei prigionieri di Abu Ghraib, la zattera della Medusa di Géricault e i volti dei profughi sui barconi, i corpi del Cristo deposto di Mantegna e di Che Guevara morto.
Segni che si muovono carsicamente, emergono e si abissano, si stratificano, si sedimentano, alla ricerca, come scrive Barthes, della pura significanza, di quel segno che emerge dal vuoto e dal silenzio.