E poi e poi tutto il nostro amore… Gramsci inedito in un libro di Noemi Ghetti
Il volto di un ventenne occhialuto, i capelli che si diramano verso l’altro come le fronde di una quercia, gli occhi vivacissimi, immortalato in una foto seppiata, lo trovi su tazze, magliette, sulle copertine delle più autorevoli testate internazionali, come il Che o Einstein. Una icona, globale e pop. Soprattutto all’estero, a lui sono stati dedicati corsi universitari, centri di ricerca, testi teatrali e brani musicali, studi ponderosi che hanno passato al setaccio il suo pensiero, mentre le lettere e i quaderni sono diventati oggetti di culto, come le sue frasi, fatte circolare a centinaia sul web.
A ottant’anni dalla sua morte, Antonio Gramsci è più vivo che mai. Icona pop e maitre à penser, a sinistra e persino a destra (incluso un sorprendente Sarkozy). Le sue tesi, dallo stato-principe all’egemonia, dal ruolo degli intellettuali alla cultura nazional-popolare, dal materialismo storico alla questione meridionale, hanno ispirato filosofi, storici, economisti, attivisti, da Althusser a Bauman, Eco, Judith Butler, Spivak, da Pier Paolo Pasolini a Ludwig Wittgenstein, da Piero Sraffa al Subcomandante Marcos, da Eugenio Garin a Foucault.
Di lui abbiamo pensato a lungo di sapere tutto, dall’infanzia in Sardegna e la giovinezza in condizioni di profonda miseria ai primi passi all’edizione piemontese dell’Avanti alla fondazione di Ordine Nuovo, l’attività politica nel partito socialista e poi nell’Internazionale Comunista e la decisione di costituire la sezione italiana insieme a Bordiga e Terracini, l’avvento al potere di Mussolini, l’omicidio Matteotti, il processo e il confino a Ustica (rappresentato da Emiliano Barbucci nel film Gramsci 44), il carcere di Turi. Poi la salute pesantemente minata dalla tubercolosi che aveva contratto da bambino lasciandogli in dono un corpo minuto e deforme su cui spiccava una testa leonina, gli amori per Pia Carena e Giulia Schucht, la morte per emorragia cerebrale. E le instancabili, quotidiane riflessioni sulla storia, la politica, il presente, che costituiscono un imponente prezioso lascito per le generazioni future, una miniera che tutti hanno saccheggiato.
La grandezza del pensatore e una vicenda umana dolorosissima. Ma è proprio la sua vita privata, liberata dai lacci e dall’ingessatura in cui per decenni è stata costretta da Togliatti e dai vertici del partito, a riservare le maggiori sorprese e a restituire il volto inedito di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Se i Quaderni e le Lettere sono state scandagliate in lungo e in largo non altrettanto si è fatto con la parabola di vita, se si escludono le memorie di famiglia del nipote, Antonio Gramsci jr., e pochi libri ormai introvabili come Amore come rivoluzione di Adele Cambria, e L’amore assente, di Adriana Brown.
A colmare un vuoto è Noemi Ghetti che dopo essersi cimentata qualche anno fa (Gramsci nel cieco carcere degli eretici), ritorna al grande intellettuale sardo ne La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924 (Donzelli, 2016). Partendo da una cartolina inviata da Gramsci a Eugenia Schucht, Ghetti ricostruisce aspetti della sua vicenda umana a lungo (anche volutamente) trascurati o rimossi, che offrono diversi spunti di riflessione.
Il triangolo affettivo tra Antonio, Giulia (Iulca) Schucht, sua moglie, e Tatiana (Tania) Schucht, la cognata, raffigurato nel corpus delle Lettere, si espande e si complica ulteriormente aggiungendo un nuovo vertice, Eugenia (Genia), la terza delle figlie di Apollon Schucht.
Siamo nel 1922, il trentunenne Gramsci si trova in una Mosca provata dal gelo e dalla carestia per partecipare alla Terza Internazionale. Colto da febbri violente viene ricoverato al sanatorio di Serebrjanij Bor dove conosce Eugenia e si lega a lei da un rapporto di calda amicizia prima, amoroso, successivamente. La giovane donna, volitiva e intelligente, gli occhi febbrili, colpita da una paresi alle gambe, dall’ anoressia e da una serie di sintomi che avrebbero fatto la felicità di Freud, colpisce il giovane italiano che si lega a lei in un rapporto conflittuale e a tratti ambiguo, in cui entrambi riversano lacerazioni e traumi antichi, come rivelano alcune lettere da sempre attribuite a Giulia.
Sarà l’arrivo della dolce bellissima Giulia, a rompere tutti gli equilibri, trascinando con sè come un uragano Gramsci, che rimarrà sempre legato a Genia da un tenero affetto, al quale la donna contrappone una sorta di cupo risentimento.
Se con Pia Carena, il suo primo legame, Gramsci aveva condiviso tutto, i sentimenti, l’amore per l’arte e il teatro e per la verità, la militanza politica e la tensione rivoluzionaria, coltivate dalle pagine dell’Avanti e di Ordine Nuovo, Genia rappresenta il desiderio mai completamente appagato e Giulia la nostalgia e il rimpianto di un amore destinato a rimanere frustrato dalle condizioni personali e dalla Storia.
Genia (che sembra aver preso il suo posto nel prendersi cura della sorella e dei nipoti) ha lasciato alle spalle Serebrjanij Bor per assistere, e non da spettatrice, alle tormentate evoluzioni del legame tra Gramsci e Giulia, lenite dalla presenza sempre salda dell’ultima sorella, Tania, che per anni sarà l’unico trait d’union tra Gramsci e il resto del suo complesso universo familiare. Quel poco di felicità con Giulia, frantumato via via dalla detenzione, dalla depressione di lei, dalla lontananza e dalla impossibilità di qualsiasi contatto se non epistolare, rimarrà sempre rubato al caso , ghermito e protetto con le unghie e con i denti, il frutto di un contrabbando quotidiano, goduto in una misteriosa capanna nella foresta.