Da Beatrice a Lizbeth Salander, figure letterarie e gender
Cosa sarebbe la letteratura senza Antigone o Emma Bovary, senza Anna Karenina e le eroine di Jane Austen e Charlotte Bronte, senza la Jo di Piccole donne, la signora Ramsay di Gita al faro o Lisbeth Salander di Millennium?
Donne nate tra le pagine dei libri che tuttavia hanno una loro corporeità, un loro carattere definito, che pensano, amano, odiano, si irritano, piangono, ridono, che esercitano l’ironia e l’autoironia. Che sono abituate a ri-pensare la realtà, a far ri-nascere il mondo. Che riescono ad acquistare uno spazio autonomo in cui esprimersi, muoversi, pensare, agire, lasciando le pagine di carta per vagare nel mondo. Un libro, si sa, è sempre il frutto dei fertili scambi tra chi scrive, chi legge, chi semplicemente immagina. Sono loro ad offrire ai personaggi vita eterna, slegata dal testo e dal suo autore, protratta ogni volta che una storia viene riscritta e riletta, nel dilagare delle forme narrative anche sugli schermi cinematografici, sul palcoscenico, in tv.
Figure multiple, contrassegnate da diversi elementi, “poli-segniche e polisemiche”, irriducibili a qualsiasi modello perché con i modelli spesso ci giocano. Figure in transito, capaci di muoversi in diversi territori e di oltrepassare le frontiere, con le loro luci e ombre, che non appartengono a nessuno tranne che a sé stesse e finiscono per entrare nell’immaginario collettivo. Sono loro, le personagge, come propone di chiamarle la Società Italiana delle Letterate (SIL). Il termine non suonerà forse perfettamente armonioso all’orecchio ma è utile a identificare persone (nel significato latino di personaggio, maschera) con una origine e una storia, con la quale iniziano a circolare nel mondo, e ad esserne arricchite, attraverso l’opera permanente di rilettura e riscrittura, anche grazie all’opera del pensiero critico delle donne negli ultimi decenni.
Ne parla un libro, intitolato L’invenzione delle personagge (Iacobelli, 2016), curato da Roberta Mazzanti, Silvia Neonato e Bia Sarasini, che riunisce una serie di interventi che articolano e approfondiscono il discorso intorno ad alcune domande: chi sono le personagge? Che fanno, cosa pensano? E noi, come le pensiamo, come le raccontiamo?
Per Nadia Setti si tratta di persone che esistono da sempre, ma che solo quando diventano personagge acquistano visibilità e riconoscibilità, escono dall’ombra, prendono la parola. Tuttavia, più che apparentarsi a modelli universali, archetipici, costituiscono tipi dell’immaginario collettivo –non solo letterario-, il che segnala lo scarto rispetto ai tòpoi tradizionali, che le inchiodano all’essere madri, mogli, amanti, per affacciarsi di nuovo al mondo per collocarsi in un altro orizzonte di senso. Una testimonianza chiara è data da buona parte della letteratura del Novecento che segna da questo punto di vista una netta cesura con il passato.
Va in questa direzione anche il processo di riscrittura di personagge che appartengono tradizionalmente al mito e alla leggenda, delle quali non tutto è stato detto, territori che attendono d’essere esplorati, che si offrono all’ascolto di quel che ancora hanno da dire. A differenza di Amleto o di Don Chisciotte, le personagge non sono riducibili a categorie predefinite. Al loro statuto appartiene infatti l’ instabilità, l’essere sempre pronte a muoversi, a moltiplicarsi e diversificarsi, senza per questo perdere la loro potenza. Che
La scrittura e la lettura intervengono allora per sottrarle al silenzio, per restituire loro la voce, arricchendola man mano di nuovi significati, rimandi, intuizioni.
Se “la buona scrittura è fatta soprattutto di capacità affabulatoria, la ‘buona lettrice’ sa, sente …che dietro ogni grande scrittrice c’è una grande pensatrice che ci parla di mondi vissuti, abitati, possibili” scrive Annamaria Crispino. Come quelli raccontati dalla letteratura queer su cui si sofferma Valeria Gennero o da Goliarda Sapienza, che con la sua Modesta, protagonista de L’arte della gioia, ha tracciato un confine preciso, percorso un po’ da tutti i contributi, per finire alle personagge di scrittrici come Maria Rosa Cutrufelli, Dacia Maraini, Valeria Parrella, Clara Sereni. Che sono un inno a tutto ciò che una donna sa e può essere, alle sue molteplici voci.