Cinema: Loveless, i bambini ci guardano
“Solo e pensoso i più deserti campi /vo’ misurando a passi tardi e lenti”, scriveva Francesco Petrarca ricordandoci che la solitudine è spazio da percorrere con passo lento e costante dove ritrovare se stessi e il mondo. Uno spazio altro da quel ‘deserto tascabile’ che ci portiamo dietro ogni giorno, nelle forme sempre più tecnologiche di uno smartphone o di un pc, nel lavoro, per strada e poi a casa, come ricordava qualche settimana fa Pier Aldo Rovatti dalle pagine de L’Espresso.
Alla nostra quotidianità asfittica e plumbea, intessuta da delusioni e paure, frustrazioni e rancori, più o meno sopiti, nevrosi e violenza, abbiamo trovato un antidoto, la fuga in un mondo artificiale di emoticon e rapporti artificiali, edulcorati dalla comune sofferenza, cui demandiamo il compito di pensare, agire, di vivere per nostro conto.
Niente assunzioni di responsabilità, nessuna aspettativa, solo un eterno presente in cui vaghiamo “in attesa di”, volgendo lo sguardo al tempo trascorso, giacchè il futuro ha assunto le forme di un essere mostruoso dallo sguardo di fuoco.
Tema di riflessione trasversale, che percorre le società dell’Europa dei paradisi fiscali come la Russia di Putin, che ha restituito al suo popolo il dominio perduto nello scacchiere internazionale e un insperato sviluppo economico. Palazzoni sorti come funghi nelle periferie di Mosca dell’era putiniana si ergono come sentinelle tra la nebbia, loft luminosi e appartamenti in cui imperano cucine colorate e forni a microonde, sfolgoranti ipermercati colmi di merci fino al soffitto, tra cui si muove una umanità in cerca di se stessa.
E’ la Russia dello zar Putin e dei nuovi ricchi, della rampante Chiesa ortodossa, di una società in cui tutto diventa a portata di mano, dove desideri e ambizioni possono essere velocemtne soddisfatti, tranne che per le migliaia di bambini che vagano negli interstizi delle città in balia di se stessi, una piaga antica che si è riaperta di nuovo dopo il crollo dell’Unione Sovietica con numeri altissimi.
A raccontare la Russia del Terzo millennio è il regista Andrey Zvyagintsev in Loveless, tra atmosfere ghiacciate, fotografia dai colori metallici che riflette il ghiaccio dei cuori. Figlio di una coppia sull’orlo di una crisi di nervi, in procinto di divorziare, frutto di uno scherzo del caso, che lo ha catapultato in mezzo a due bambini cresciuti solo anagraficamente, il piccolo Alioscia decide di eclissarsi una mattina d’inverno, sotto la neve che cade placida e indifferente.
Il film segue con spietato rigore le sottili geometrie dei cuori, piroettando tra la rabbia e i livori della coppia, la precarietà esistenziale e lavorativa di lui, i nodi antichi e mai sciolti di lei, i sentimenti ormai anestetizzati (senza amore, appunto, come recita il titolo della pellicola).
Troppo impegnati a seguire le rispettive traiettorie di vita e a gettarsi fango addosso, i due finiscono per dimenticare di avere un figlio. A farne le spese è Alioscia, insieme ai nuovi partner dei genitori, ignari di avere firmato una cambiale in bianco che aspetta di essere riscossa.
Il gelo circonda persone e cose, enfatizzato dalla fotografia dai colori metallici, dai lunghi piani sequenza che seguono la coppia nei grandi open space aziendali e tra le nebbie che rivestono le periferie della capitale e gli scheletri di edifici abbandonati e arrugginiti, emblema del disfacimento di un’epoca. A Mosca, come a Londra o nella Grande Mela. A sottrarsi è solo il gruppo di volontari che si sostituiscono alla polizia nella ricerca dei bambini scomparsi, gli unici a portare un briciolo di umanità nella desolazione dilagante.
Alla fine, la neve continua a scendere placida e indifferente sugli alberi rinsecchiti del bosco, sulle lacrime di una donna che corre sul tapis rulant, su un uomo che neanche il pianto di un bambino riesce a far tornare indietro, sulla sofferenza, la rabbia, la frustrazione che uccidono tutto, anche l’amore.