Appunti di meccanica celeste: antologia dei sentimenti tra cielo e terra di Domenico Dara
Qualsiasi oggetto dell’Universo attrae ogni altro oggetto con una forza diretta lungo la linea che congiunge i baricentri dei due oggetti con forza proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Così Isaac Newton quattro secoli fa spiegava il moto dei corpi celesti utilizzando i principi della dinamica. Newton, come Aristotele, Keplero, Copernico, Brahe, Galileo e molti altri, tentò di individuare un modello che potesse descrivere un universo stabile e predicibile.
Ci volle ancora del tempo e l’occhio lungo di un matematico francese, Henri Poincarè, per arrivare a comprendere come il cosmo sia in realtà entità complessa che si alimenta del caos e dell’impossibilità di prevedere lo stato finale delle cose.
Come corpi celesti in equilibrio instabile si muovono anche i sette personaggi protagonisti del secondo romanzo di Domenico Dara, Appunti di meccanica celeste (Nutrimenti ed.) i quali, così come il cono in balia di un refolo d’aria scelto da Poincarè per spiegare come qualsiasi minima causa può provocare effetti a catena, espressione del caos che regna nell’universo, vagano in quella piccola porzione di mondo che dal monte Covello degrada verso lo Jonio alla ricerca di quella parte di sé perduta e vagheggiata.
E’ l’assenza il perno attorno al quale ruota la vita di Lulù dal corpo straripante come quello di una balenottera, che cerca la madre ogni volta nelle melodie celestiali che sa trarre abilmente dalle foglie; di Concettina dalla pancia secca come argilla tosta, che continua a interpretare i segni del corpo e dell’universo coltivando il desiderio eterno di avere un figlio; di Archidemu Crisippu, erede di una illustre progenie di stoici che coltiva da sempre l’indifferenza verso il mondo, decifrato con le lenti della filosofia e del cielo nella convinzione che un ordine universale esista, e che a quell’ordine risponda anche la scomparsa del fratello Sciachinneddu; di Mariarosa, che esala dal corpo pingue miasmi di rancore e invidia verso il mondo, risarcimento dell’amore perduto, ma forse non per sempre; di Venanzio, il sarto epicureo, che la natura ha onorato di una rara dote, per la felicità delle donne che non smettono di cercarlo di notte e di giorno, escludendolo tuttavia da una ancora più speciale, quella dell’amore; di Rorò Partitaru baciata dalla bellezza e dalla buona sorte, che percorre con passo lieve la vita e la morte, impermeabile alle smagliature e alle imperfezioni senza le quali nessuna esistenza può dirsi piena e completa; di Angelo, con quel ciuffo bianco che lo marchia nelle carni, calamitando la malevolenza della gente, cieca di fronte al segno segreto di chi sa volare in alto, sopra le nuvole, in prossimità del sole.
Sette storie e altrettante mappe dei sentimenti, intessute tra la memoria e la quotidianità di una comunità sopra le righe, che vive in un fazzoletto di terra battuto dai venti di ponente e di scirocco, delimitato dal manicomio e dal cimitero, che le cose umane si muovono tutte “tra la follia e la morte”, e la vita pencola sempre al bivio tra nascita e morte, dolore e agio, sole e pioggia, senza che ci sia spazio “per le sfumature e le vie di mezzo”.
Girifalco, sorta di Macondo sulle rive del Mediterraneo, in cui realtà e finzione, quotidianità e magia si incontrano, sorta di luogo sospeso nel tempo, dove ci si muove tra due strade, due chiese, due punti cardinali e tra il mare e i boschi del Covello, porta di ingresso alla montagna incantata che fagocita chi si addentra nel suo ventre, come se intorno al fatidico numero due si misurasse
l’equilibrio dell’intero sistema solare, la stabilità delle stelle, la regolarità delle traiettorie planetarie, la sopravvivenza del cosmo.
Una comunità che vive seguendo i ritmi dei riti sacri, che al tempo di Dioniso ha sostituito quello della chiesa, in attesa di quel minuto fatidico in cui si giocano i destini dell’uomo.
O di quel transito planetario che deviando dalle rotte consuete, si materializza in un circo che finisce chissà come –il Caso? l’ordito divino?- ai piedi del Covello per piantarvi le tende, mettendo in moto l’ingranaggio che muterà –o meglio, porterà a compimento- il moto di quei sette corpi celesti e degli altri pianeti, satelliti, asteroidi, comete, che si muovono anch’essi con la loro orbita ellittica attorno al pianeta solare, Girifalco appunto.
Alla fine sarà proprio il circo a costringere tutti a fare i conti con sé stessi, a scoprire che “il mondo parla come un uomo, semplicemente con una lingua diversa che bisogna imparare a tradurre”, continuando a girare sotto lo sguardo dell’universo, indifferente all’equilibrio precario dei moti dell’animo umano e della perenne schiavitù dei desideri.
Dopo il fulminante esordio di Breve trattato sulle coincidenze, arrivato tra i finalisti del XXVI Premio Italo Calvino, amatissimo da pubblico e critica, che l’hanno premiato con migliaia di copie vendute e l’assegnazione di diversi Premi (Viadana 2015, Corrado Alvaro 2015, sezione Opera Prima, Città di Como 2015, sezione Esordienti, Premio Palmi 2014), Domenico Dara torna a narrare Girifalco e le sue storie, costruendole con rigore geometrico, agglutinate per coppie oppositorie intorno alla figura di Archedimu Crisippu, degno erede del postino-filosofo protagonista del Breve trattato, che legge i corsi e ricorsi umani come specchio della meccanica celeste i cui moti a volte conducono nel regno dell’imprevedibile e dello extra-ordinario, senza i quali la nostra vita sarebbe sospesa in un vuoto pneumatico.
Storie che rampollano l’una dall’altro, si intersecano, si allontanano, restituite al lettore grazie alla sottile alchimia della parola, dove il linguaggio colto convive senza forzature con il la lingua materna, il dialetto, offrendo straordinarie trame in cui si intrecciano suoni ed immagini dai colori smaglianti della fiaba.
(Nelle immagini antiche mappe del cielo)